di Leandra Noviello, Consulente d’impresa.
LE ZONE ECONOMICHE ZES: COSA SONO E PERCHE’ NASCONO
Le Zone economiche speciali (Zes) sono aree geografiche in cui le normative in materia di legislazione economica, fiscale ed amministrativa risultano essere diverse rispetto a quelle delle altre aree del Paese di appartenenza. Non si tratta di un fenomeno recente, in quanto si sono sviluppate a partire dal 1937 e da quel momento la loro espansione non ha conosciuto limiti. A livello internazionale, infatti, le esperienze di Paesi come la Cina, gli Stati Uniti d’America e Dubai sono state un modello per l’Europa ed il resto del mondo.
Secondo uno studio condotto dall’Ocse esistono 4 tipi di di Zes, difformi tra loro, e precisamente:
1) le zone di libero scambio (free trade zone), che si trovano in prossimità di porti e aeroporti e destinano una serie di esoneri (siano essi totali o parziali) sui dazi legati all’import o all’export di tutti i beni che vengono riesportati;
2) le "export processing zone", nelle quali è favorita la riesportazione solo di quei beni che possiedono un valore aggiunto, derivante dalle lavorazioni eseguite in loco sui prodotti stessi;
3) le zone economiche speciali vere e proprie, nelle quali, a tutte le imprese che stabiliscono una sede nella zona, è messo a disposizione un insieme di agevolazioni fiscali e semplificazioni amministrative significative;4)le zone speciali industriali, nelle quali è consentito ottenere facilitazioni solo alle imprese operanti in un determinato settore (come ad esempio il settore dell’Ict o il settore manifatturiero).
In Italia, a disciplinare la materia è intervenuto il D.L. 20 giugno 2017, n. 91, contente "Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno" (G.U. Serie Generale n. 141 del 20 giugno 2017, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2017, n. 123 (in G.U. n. 188 del 12 agosto 2017), che, agli articoli 4 e 5, contiene i necessari riferimenti per la definizione, l’istituzione e la gestione di una Zes.
In particolare, affinché si possa parlare di una Zes, è necessario che sussistano determinate condizioni:a) innanzitutto, la Zes deve essere creata all’interno dei confini dello Stato, quindi in una zona geografica ben circoscritta ed identificata;
b) la Zes può essere costituita anche da aree geograficamente non attigue a condizione che tra di esse esista un valido legame economico funzionale;
c) la Zes deve includere un’area portuale, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TENT-T), tenendo fede alle caratteristiche stabilite dal Regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2013.Il legislatore nazionale è chiaramente intervenuto nel tentativo di favorire, mediante lo strumento in esame, la creazione di condizioni di sviluppo nel Sud del Paese. L’intervento si può quindi inquadrare tra le norme di attuazione del comma quinto dell’art. 119 della Costituzione, a mente del quale, come noto "Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali infavore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni", previsione che, a sua volta, connessa all’attuazione del fondamentale principio di uguaglianza.
Ciascuna Zes è istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta della Regione interessata, corredata da un piano di sviluppo strategico. La Regione interessata deve, quindi, sulla scorta di un piano strategico di sviluppo, formulare la proposta di istituzione della Zes, indicando le caratteristiche dell’area identificata. Il soggetto per la gestione dell’area Zes è un Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell’Autorità Portuale, da un rappresentante della Regione e da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Istituire una Zes significa cambiare la prospettiva dalla quale si guarda alle aree del Mezzogiorno ed in particolare delle città metropolitane, per farle rivivere, in maniera tale da attrarre non solo investimenti esteri o extraregionali, ma soprattutto rilanciare l’attrattività di quei territori, dando a questi ultimi la possibilità di svilupparsi e, alle imprese, di usufruire di importanti agevolazioni fiscali e semplificazioni di carattere burocratico e amministrativo. Tutto questo con l’aiuto dello Stato; quest’ultimo, impegnandosi attivamente dal punto di vista politico, economico e sociale, deve creare le condizioni per eliminare le disparità che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Da un punto di vista economico, l’idea è quella di porre le Zes a servizio di supply chain, dando ad esse altresì la possibilità di diventare degli hub di riferimento per tutti quegli investitori che già da tempo stanno ponendo grossa attenzione alle nostre aree. Presi di mira sono i settori strategici che hanno la capacità di rilanciare i cosiddetti Investimenti diretti esteri (Ide).
Nel momento in cui tanto si parla dell’iniziativa cinese nota come "Nuova via della Seta", l’istituzione delle Zes nel Mezzogiorno d’Italia può rappresentare anche un volano determinante per favorire l’internazionalizzazione delle imprese, creando nuove sinergie in ambito di Blue Economy. Potrà essere, questo, un modo per ridurre la distanza tra Mezzogiorno d’Europa e Oriente, facendo circolare le merci nel Mar Mediterraneo, passando dal Nord Africa, attraverso il Canale di Suez, fino ad arrivare in Cina.
Si richiama l’attenzione sul fatto che i programmi di investimento da realizzare nella Zes non possono avere un orizzonte temporale inferiore ai 7 anni: affinché le imprese possano usufruire delle agevolazioni, esse dovranno mantenere la loro attività almeno per 7 anni successivi al compimento dell’investimento (se così non fosse i benefici concessi saranno revocati) e non devono risultare in liquidazione o in fase di scioglimento. L’obiettivo è di garantire la stabilità degli investimenti; nel contempo, l’aver stabilito una durata minima di 7 anni risponde alla necessità di poter utilizzare al meglio le possibilità offerte dai programmi comunitari e nazionali (finanziari e/o cofinanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale, dal Fondo sociale europeo e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione) tanto del corrente periodo di programmazione 2014-2020 quanto dei successivi, i cui cicli di programmazione sono, appunto, settennali.
Foto di Sritam Kumar Sethy da Pixabay