Definibile quale un classico istituto deflattivo, tale nel senso più ampio del termine, l’Interpello si dimostra preventivo fin nella sua natura, in quanto l’operatività del medesimo si colloca prima e a prescindere da un eventuale controllo e accertamento. Introdotto nella forma ordinaria con l’articolo 11 della legge 212/2000, l’interpello consiste in un’istanza che il contribuente può rivolgere all’agenzia competente per materia, prima di assumere una condotta fiscalmente rilevante, al fine di ricevere chiarimenti sull’interpretazione di una norma obiettivamente incerta da applicare ad un caso concreto e personale. Affiancato nella forma speciale, definita all’articolo 21 della legge 413/1991, e nella forma disapplicativa, prevista dall’articolo 37 bis D.p.r. 600/73, l’istituto risultava confuso e sparpagliato, ed è anche per questo motivo che negli anni 2015 e 2016 l’interpello è stato sottoposto a una grande riforma di sistematizzazione. Il legislatore con la Legge di delega fiscale n. 23/2014, all’articolo 6, comma 6 ha infatti ritenuto, invero opportunamente, che la disciplina degli interpelli, confusa e sparsa in numerosi testi legali, fosse bisognosa di un profondo intervento riorganizzativo. Il Governo ha dato attuazione alla delega tramite il Decreto Legislativo n. 156/2015, con il chiaro obiettivo di "restituire all’interpello la funzione di dialogo privilegiato e qualificato del contribuente con l’Amministrazione". Un passaggio dunque "da un sistema incentrato sulla necessità di una compiuta verifica amministrativa ex ante di determinate fattispecie, a uno basato sulla responsabilizzazione del contribuente, al quale è riconosciuta la possibilità di verificare in autonomia la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’accesso a specifici regimi fiscali, ovvero per la disapplicazione di determinate disposizioni antielusive", con importanti ricadute teoriche e pratiche sul rapporto tra il profilo penale e l’istituto «rinato». Alla luce dunque di questo nuovo riordino della materia, l’articolo 1 del Decreto ha riscritto l’articolo 11 della Legge n. 212/2000 e ha sancito il diritto di interpello del contribuente come principio statutario comune a tutte le istanze, che si individuano nelle tipologie di:• Interpello Ordinario (articolo 11, comma 1, lettera A);• Interpello Probatorio (articolo 11, comma 1, lettera B); • Interpello Anti-Abuso (articolo 11, comma 1, lettera C); • Interpello Disapplicativo (articolo 11, comma 2 e articolo 10 bis)
Al fine di non tediare su una disamina approfondita dei singoli istituti, è piuttosto importante chiedersi quale sia il rapporto tra le tipologie di Interpello e il relativo profilo penale dell’attività del contribuente.L’abrogazione dell’articolo 16 del D.lgs. 74/2000, che nella sua lettera: «Non dà luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso» pone immediate riflessioni in seno all’interprete sul valore dell’intero istituto, in riferimento a un eventuale procedimento penale rapportato al precedente esperire di un’istanza di Interpello, e ciò non soltanto riguardo all’articolo 21, il cui comma 10 peraltro abrogato. D’altra parte già eminente Dottrina non vede un reale cambiamento nella disciplina[1] poiché ribadiva un’interpretazione già basilarmente desumibile sia dai principi che regolano la materia penale che pure dalla mancanza di una norma incriminatrice ad hoc, pare lo stesso necessaria una disamina di questi principi, nonché di possibili ricadute prospettate da vari interpreti.
[1]"(...) La risposta è stata sempre negativa per la considerazione che con la riforma penal-tributaria, attuata con il D.lgs. n. 74, è stato introdotto il regime del c.d. doppio binario (segnatamente risultante dagli artt. 20 e 21), in forza del quale la risoluzione dei problemi interpretativi della materia penale non doveva dipendere dalla risoluzione dei problemi interpretativi della materia tributaria (..)". Ivo Caraccioli, Soppressione del Comitato antielusivo: conseguenze penal-tributarie in "Il Fisco" 2017, pag. 2461.
Una prima domanda, infatti, che l’interprete potrebbe porsi, riguarda l’eventuale persecuzione di un reato, in conseguenza della mancata uniformazione del contribuente al dettame impartito da parte della data amministrazione, investita dell’Interpello. Da un punto di vista puramente amministrativo notiamo subito come l’articolo 11 comma 3 della Legge 212/2000 definisce la risposta scritta e motivata all’Interpello come vincolante per ogni singolo organo dell’Amministrazione (limitatamente alla questione oggetto dell’istanza e al richiedente). Non fa dunque alcun riferimento a un presunto obbligo del richiedente di doversi attenere alla soluzione prospettata, da ciò si desume facilmente come non ci sia alcuna conseguenza né penale né tantomeno amministrativa nella mera mancata uniformazione al dettame proposto dall’Amministrazione, a prescindere dalla situazione di fatto successivamente posta in essere dal contribuente. Il fatto che manchi una norma incriminatrice che espressamente individui come reato questo eventuale non attenersi alla risposta nei riguardi dell’interpello si dimostra essere di ulteriore conforto alla teoria prospettata, per cui alla lettura dei fondamentali articolo 1 del Codice Penale: «Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite» e articolo 25 comma 2 della Nostra Costituzione: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» non possiamo che leggere una chiara conferma della soluzione garantista dell’articolo 11. La reale problematica interpretativa non inerisce alla semplice fase di rapporto tra risposta e susseguente azione del contribuente, bensì il fulcro della questione si struttura intorno alla punibilità di un eventuale comportamento dell’istante, avvenuto successivamente sulla base delle interpretazioni accettate o addirittura prospettate dall’amministrazione investita dall’Interpello. Esclusa dunque l’automatica commissione di reato in caso di comportamento difforme, per poter compiere un’analisi della questione, però, è fondamentale diversificare le alternative che la legge concede all’amministrazione: risposta tempestiva, silenzio e risposta tardiva e rettifica La risposta tempestiva fornita nei termini prescritti dalla norma vincola l’Agenzia in sede di controllo, durante il quale dovrà uniformarsi alla risposta resa al contribuente e non potrà dunque emettere atti a contenuto impositivo oppure sanzionatorio in contrasto con la soluzione interpretativa prospettata. Da ciò si potrebbe desumere quindi, anche su una mera interpretazione letterale e scientifica (i giuristi ascrivono alla categoria delle sanzioni sia quelle penali che quelle amministrative), che la responsabilità penale per un comportamento tenuto dall’istante sui parametri descritti dalla stessa Amministrazione sarebbe esclusa per il medesimo contribuente, almeno in rapporto con il caso particolare e concreto. D’altra parte ci pare manifestamente aberrante che un contribuente possa essere sottoposto a un procedimento penale dopo essere stato destinatario di un parere favorevole, alias un consenso, da parte dell’Amministrazione. L’abrogazione dell’articolo 16 non pare intaccare da un punto di vista sistematico questo principio, che già era facilmente desumibile de relato dal comma 3 dell’articolo 11 della Legge 212/2000, che pure si estende anche ai casi di interpello anti elusivo per merito dell’articolo 10 bis della medesima legge. Nella fattispecie, dunque, il contribuente che ha ricevuto un parere favorevole si trova in una situazione di aspettativa qualificata della legittimità del proprio comportamento e perciò in una situazione di esercizio del diritto. Il fatto però che non esista più un’effettiva scriminante riguardo la risposta favorevole dell’Amministrazione espone il fianco a diverse interpretazioni, delle quali nessuna manca di sostanzialità giuridica.Una prima teoria più recente e aggiornata[1], sulla base degli artt. 331 e 347 c.p.p.[2], illustra infatti come i funzionari e militari dell’A.F. siano sottoposti all’obbligo, alla presenza di almeno una formale esistenza di estremi di reato tributario, di dovere trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica, in concomitanza al procedimento amministrativo. A questo punto, a ben leggere i principi generali della procedura penale applicati alla materia penale tributaria, il procedimento penale per i reati fiscali contestati (o contestabili) dovrebbe in ogni caso proseguire per la sua strada. Perciò il contribuente si troverebbe a dovere confidare che il PM analizzi le dinamiche della situazione concreta e dunque, confermando la mancanza dell’elemento psicologico chieda un susseguente proscioglimento dell’imputato.Sebbene il proscioglimento per la mancanza di dolo o per la sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 15 del d.lgs. 74/2000 vegli sulla posizione del contribuente, esporre un istante, che ha fatto uso di un istituto dalle caratteristiche basilarmente deflattive quale l’interpello, alle more di un procedimento penale pare in contrasto con l’obiettivo di semplicità e di collaborazione che la nuova normativa ha voluto dettare per l’Interpello. D’altra parte il riordino delle tipologie di Interpello sotto la disciplina comune dell’articolo 11 della Legge 212/2000 (nonché l’articolo 10 bis che rimanda all’11 anche per gli Interpelli anti elusivi) potrebbe ben rendere superflua dell’articolo 16, sebbene in questo caso rimanga ben più blanda e «tra le righe» la non punibilità del contribuente istante. Una seconda teoria[1] potrebbe leggersi appunto sia sull’interpretazione scientifica prospettata dal comma 3 dell’articolo 11, in cui si dispone la non applicabilità di sanzioni (anche penali, come si può interpretare dai lavori parlamentari, durante i quali l’aggettivo amministrativo è stato depennato dal sostantivo sanzioni, con l’evidente ratio di voler tutelare l’istante pure dai risvolti penali), e dall’altra tramite l’applicazione[2] degli articoli 50 e 51 [3] del Codice Penale. Prima infatti della mancanza di elemento soggettivo, opererebbe una applicazione dei due articoli, che prevedono rispettivamente (art. 50) la scriminante comune del consenso dell’avente diritto e quella (art. 51) dell’esercizio di un diritto. Perciò, essendo venuta meno la scriminante speciale dell’articolo 16 e potendo pure essere applicate le scriminanti comune in presenza di scriminanti speciali, i due articoli tutelerebbero in misura maggiore e più garantista il contribuente istante. Rimane da valutare però in che modo e su quali basi giuridiche. Appare inoltre chiaro come tale seconda teoria prospettata non si poni necessariamente in antitesi con la prima, bensì ne implementi una visione più favorevole nei confronti del contribuente. Posto come assunto che la punibilità sarebbe comunque esclusa per effetto della mancanza dell’elemento soggettivo del reato (punto su cui entrambe le teorie convergono[4]), la dottrina[5] ha ravvisato la scriminante prospettata dall’articolo 51[6] come operante nella fattispecie, in quanto il contribuente verrebbe a esercitare una facoltà legittima, contenuta in un diritto soggettivo: la norma infatti, individuando le modalità procedurali prefissate e le materie specifiche, permette all’Amministrazione di rispondere a quesiti (attività per essa vincolante) e perciò orientare il comportamento dell’istante, ponendo dunque questo soggetto in una
[1] Astolfo Di Amato e Roberto Pisano, Trattato di diritto penale dell’impresa. Vol. 7: I reati tributari 259, Gian Luca Soana, I Reati Tributari, Milano 09, 445; G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu, F. Moschetti, Commentario breve alle Leggi Tributarie Tomo II Accertamento e Sanzioni a cura di Francesco Moschetti, Padova, Vito D’Ambra Par. 16, p. 636 ss. [2] "(...) Scriminate generale è prevista dall’articolo o50 c.p. che annoverare tra le cause di giustificazione il consenso dell’avente diritto, manifestato dall’Amministrazione finanziaria o in maniera espressa con l’emanazione del parere, o in maniera tacita con il silenzio assenso"; Commento all’articolo 16 del D.lgs. n. 74/2000, pag. 639-640 ss., di Vito D’Ambra in Commentario breve alle Leggi Tributarie Tomo II Accertamento e Sanzioni, a cura di G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu, F. Moschetti, Padova, 2011; [3] "(...) L’esercizio di un diritto da parte del suo titolare: tale esimente si inquadra dunque nel principio di coerenza (o di non contraddizione) dell’ordinamento giuridico non può -senza venire meno della propria essenziale funzione regolativa del comportamento dei consociati- proibire e nel contempo consentire o addirittura prescrivere una determinata condotta" Commento all’articolo 16 del D.lgs. n. 74/2000, pag. 640, di Vito D’Ambra in Commentario breve alle Leggi Tributarie Tomo II Accertamento e Sanzioni, a cura di G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu, F. Moschetti, Padova, 2011;[4] "(...) deve in ogni caso proseguire per la sua strada, potendosi soltanto confidare che il P.M. voglia tener conto della situazione concreta venutasi a verificare, richiedendo al giudice dell’udienza preliminare o al giudice dibattimentale una sentenza favorevole di non doversi procedere o di proscioglimento o di assoluzione nel merito, od in subordine per inesistenza dell’elemento psicologico (per lo più dolo specifico) richiesto per l’esistenza del reato tributario (...)". Ivo Caraccioli, Soppressione del Comitato antielusivo: conseguenze penal-tributarie in "Il Fisco" 2017, pag. 2461.[5] Colaianni, Profili penali del ruling internazionale, il Fisco, 2004, p. 2283;[6] "L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo". Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine. [1] "(...) deve in ogni caso proseguire per la sua strada, potendosi soltanto confidare che il P.M. voglia tener conto della situazione concreta venutasi a verificare, richiedendo al giudice dell’udienza preliminare o al giudice dibattimentale una sentenza favorevole di non doversi procedere o di proscioglimento o di assoluzione nel merito, od in subordine per inesistenza dell’elemento psicologico (per lo più dolo specifico) richiesto per l’esistenza del reato tributario (...)". Ivo Caraccioli, Soppressione del Comitato antielusivo: conseguenze penal-tributarie in "Il Fisco" 2017, pag. 2461.[1] Colaianni, Profili penali del ruling internazionale, il Fisco, 2004, p. 2283;[1] "L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo". Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
condizione di esercizio del diritto. Sebbene indirettamente, un’altra teoria dottrinale[1] cita anche l’articolo 50[2], il quale potrebbe ben operare nella tutela della posizione del contribuente, essente l’Amministrazione finanziaria, nel suo apparato complessivo indissolubilmente legato all’entità statale, il soggetto avente diritto nei riguardi della imposizione tributaria. Pur essendo un’interpretazione considerabile come ardita, a rigore logico un consenso dell’Amministrazione Finanziaria, considerata depositaria del Diritto sulla base di questa impostazione, renderebbe il contribuente non punibile.
In questi casi la tutela contro un possibile procedimento penale non opererebbe, poiché se nel primo caso si travalicano i limiti oggettivi su cui si è impostato il rapporto tra amministrazione e istante, nelle altre due alternative il contribuente decide di agire nonostante la risposta dell’amministrazione e quindi a proprio rischio e pericolo. Bisogna però valutare, nel caso di «dissociazione» del contribuente rispetto all’opinione (non vincolante, ribadiamo) dell’Amministrazione, una serie di dovuti distinguo. Sebbene vengano meno le guarentigie lato senso degli articoli 50 e 51, nonché una lettura della volizione indubbiamente meno favorevole alla posizione dell’istante, il giudice penale dovrà comunque valutare tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del caso, escludendo qualsiasi automatica commissione di reato. Bisogna inoltre sottolineare come il comma 2 articolo 11 ultimo periodo consideri che: «(...) Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo precedente anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa», dunque de relato si potrebbe considerare come, sia per causa della farraginosità delle procedure amministrative o per la semplice tempistica necessarie a espletare le stesse, il contribuente si trovi a portare tali considerazioni provate in sede penale, con possibili valutazioni differenziali e garantiste da parte dell’autorità giudicante.
Rimane infine l’ultima alternativa nel rapporto tra contribuente istante e amministrazione, ovvero la mancata risposta della stessa alla richiesta di interpello ex articolo 11. Considerata inizialmente come una delle aree più oscure e pericolose, l’istituto amministrativo del silenzio assenso ha invece reso molto più semplice, almeno da un punto di vista teorico, il rapporto tra istante e amministrazione, ricompreso nelle tempistiche definite nel medesimo articolo. Difatti: «Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli». In Dottrina[1] si è già più volte prospettato come il silenzio assenso impedisce, sul piano oggettivo, qualsiasi tipo di conseguenza penale. Inoltre a riguardo
Rimane infine l’ultima alternativa nel rapporto tra contribuente istante e amministrazione, ovvero la mancata risposta della stessa alla richiesta di interpello ex articolo 11. Considerata inizialmente come una delle aree più oscure e pericolose, l’istituto amministrativo del silenzio assenso ha invece reso molto più semplice, almeno da un punto di vista teorico, il rapporto tra istante e amministrazione, ricompreso nelle tempistiche definite nel medesimo articolo. Difatti: «Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli». In Dottrina[1] si è già più volte prospettato come il silenzio assenso impedisce, sul piano oggettivo, qualsiasi tipo di conseguenza penale. Inoltre a riguardo dello stesso varrebbero con ancor più forza le soluzioni prospettate nella «seconda» teoria poc’anzi descritta, ovvero come sia i lavori preparatori che la lettera dell’articolo escludano l’aggettivo amministrativo rispetto alle sanzioni al fine di escludere anche la materia penale delle stesse. Essendo inoltre considerato quale risposta «positiva» dell’agenzia, al comportamento imperniato sul silenzio assenso dell’amministrazione si applicherebbero anche le guarentigie desumibili dagli articoli 50 e 51 e dalla mancanza di volizione nel compimento del reato. Vi è però da rilevare come, nel caso del silenzio assenso nei confronti di una domanda strutturata (la cui risposta supera i normali confini di un favorevole o non favorevole), la lettura ex post anche da parte di un PM possa risultare più complessa e insidiosa. In questo caso pare ben più completa un’applicazione della «prima teoria», che sebbene sia meno garantista nei confronti del contribuente, è, in una visione d’insieme, più attinente ai principi penali e tributari. Va da ultimo ricordato come l’amministrazione possa, in una ottica ex nunc, superare il proprio silenzio assenso: «Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante».Alla luce delle interpretazioni esposte da parte della Dottrina[1], che tutte premono seppur con accezioni diverse sull’applicazione stringente del principio del doppio binario, ci appare più che chiaro come il riordino dell’istituto dell’Interpello abbia fini e risvolti lodevoli, ma lascia una serie di punti oscuri e farraginosi almeno nel dato letterale nei riguardi del rapporto dell’istante con un’eventuale responsabilità penale. Una definizione più accurata e sistemica di questo importante area dell’istituto renderebbe invero più facile il lavoro dell’interprete, con immensi vantaggi per gli operatori e le amministrazioni.
Alla luce delle interpretazioni esposte da parte della Dottrina[1], che tutte premono seppur con accezioni diverse sull’applicazione stringente del principio del doppio binario, ci appare più che chiaro come il riordino dell’istituto dell’Interpello abbia fini e risvolti lodevoli, ma lascia una serie di punti oscuri e farraginosi almeno nel dato letterale nei riguardi del rapporto dell’istante con un’eventuale responsabilità penale. Una definizione più accurata e sistemica di questo importante area dell’istituto renderebbe invero più facile il lavoro dell’interprete, con immensi vantaggi per gli operatori e le amministrazioni.
Alla luce delle interpretazioni esposte da parte della Dottrina[1], che tutte premono seppur con accezioni diverse sull’applicazione stringente del principio del doppio binario, ci appare più che chiaro come il riordino dell’istituto dell’Interpello abbia fini e risvolti lodevoli, ma lascia una serie di punti oscuri e farraginosi almeno nel dato letterale nei riguardi del rapporto dell’istante con un’eventuale responsabilità penale. Una definizione più accurata e sistemica di questo importante area dell’istituto renderebbe invero più facile il lavoro dell’interprete, con immensi vantaggi per gli operatori e le amministrazioni.
Alla luce delle interpretazioni esposte da parte della Dottrina[1], che tutte premono seppur con accezioni diverse sull’applicazione stringente del principio del doppio binario, ci appare più che chiaro come il riordino dell’istituto dell’Interpello abbia fini e risvolti lodevoli, ma lascia una serie di punti oscuri e farraginosi almeno nel dato letterale nei riguardi del rapporto dell’istante con un’eventuale responsabilità penale. Una definizione più accurata e sistemica di questo importante area dell’istituto renderebbe invero più facile il lavoro dell’interprete, con immensi vantaggi per gli operatori e le amministrazioni.
[1] Ex Multis: "(...) Non senza, comunque, potersi e doversi auspicare che il futuro legislatore voglia tener conto di queste particolari situazioni concrete intervenendo in maniera ulteriormente riformatrice della delicata materia dei rapporti tra contenzioso fiscale e processo penal-tributario (...)". (...)". Ivo Caraccioli, Soppressione del Comitato antielusivo: conseguenze penal-tributarie in "Il Fisco" 2017, pag. 246.
Fonti Bibliografiche- Ivo Caraccioli, Soppressione del Comitato antielusivo: conseguenze penal-tributarie, Il Fisco, 2017, pag. 2461; - Commento all’articolo 16 del D.lgs. n. 74/2000, pag. 635 ss., di Vito D’Ambra in Commentario breve alle Leggi Tributarie Tomo II Accertamento e Sanzioni, a cura di G. Falsitta, A. Fantozzi, G. Marongiu, F. Moschetti, Padova, 2011; - Colaianni, Profili penali del ruling internazionale, il Fisco, 2004, p. 2283; -----Alberto Renda e Giorgio Dal Corso, Il rapporto tra dichiarazione integrativa e "preventività" dell’interpello in caso di incertezza normativa, Il Fisco, 2018; - Guglielmo Fransoni e Rosella Suraci, Facoltatività o obbligatorietà dell’interpello disapplicativo? Corriere Tributario, 2016, P. 1645; - A. Di Amato e R. Pisano, Trattato di diritto penale dell’impresa. Vol. 7: I reati tributari, Padova, 2002; - Gian Luca Soana, I Reati Tributari, Milano, 2017; - Gianmarco De Francesco, Il diritto di interpello, Milano, 2003; - Fabio Carrirolo, Nuovo Interpello, Il Sole 24 ore, 2015.