Il licenziamento per motivo oggettivo deve fondarsi su un motivo socialmente giustificato, connesso a ragioni legate all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro (c.d. licenziamento di area oggettiva). Le relative scelte imprenditoriali possono essere di carattere economico o tecnico-produttivo.L’imprenditore ha sempre l’obbligo di dimostrare (artt. 1, 3, 5, legge 604/1966) l’esistenza effettiva del motivo dedotto a fondamento del licenziamento. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (di seguito, per brevità, GMO) è legittimo a determinate condizioni.
In particolare, ricorre tale requisito di liceità se il datore di lavoro:
- Opera un riassetto organizzativo e non pretestuoso, fondato su circostanze realmente esistenti al momento della comunicazione del licenziamento e non riguardante circostanze future ed eventuali. È legittimo, peraltro, il licenziamento giustificato da una riorganizzazione aziendale finalizzata ad una più economica gestione dell’impresa, anche se il riassetto sopravviene nel corso o al termine del periodo di preavviso;
- Deve dare la prova, in un eventuale giudizio di impugnazione attivato dal lavoratore licenziato, della sussistenza delle suddette condizioni/circostanze;
- Licenzia in funzione di ragioni inerenti l’attività produttiva (c.d. nesso causale);
- Verifica la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, secondo determinate possibilità e modalità (c.d. obbligo di ricollocazione);
- Sceglie il dipendente da licenziare (ove si prospetti una simile necessità di scelta) osservando regole di correttezza e buona fede (art. 1175 cod. civ.) e non pone in essere atti discriminatori;
- Rispetta il preavviso (o corrisponde la prevista indennità economica sostitutiva). Se nel periodo immediatamente successivo al licenziamento l’azienda procede a nuove assunzioni per ricoprire mansioni equivalenti a quelle svolte dal dipendente licenziato, opera una presunzione di illegittimità del licenziamento stesso. Tuttavia, nell’ambito di una riorganizzazione aziendale è possibile licenziare dei dipendenti per soppressione delle posizioni da questi ricoperte e assumerne di nuovi, qualora i nuovi assunti non vadano a ricoprire le posizioni lasciate vacanti dai dipendenti licenziati.
Recentemente, si è formato in seno alla giurisprudenza di Cassazione un orientamento che ha ritenuto legittimi i licenziamenti intimati in relazione causale e proporzionata alla riduzione dell’attività dell’impresa, risultante dal sottoutilizzo delle attrezzature aziendali e dal drastico calo di fatturato. Quando viene licenziato un lavoratore con qualifica dirigenziale, il quadro di valutazione dei presupposti di cui sopra deve essere rivisitato alla luce della particolare posizione del dirigente all’interno dell’organizzazione aziendale e dell’impresa.
Peraltro, in tema di licenziamento del dirigente per crisi aziendali, ristrutturazioni, riorganizzazioni, la Corte di Cassazione ha precisato - con indirizzo ormai consolidato - che, ove vengano dedotte esigenze di riassetto organizzativo per una più economica gestione dell’azienda, la corrispondente scelta imprenditoriale è insindacabile, nei suoi profili di congruità e opportunità. In questi termini, può considerarsi licenziamento ingiustificato solo quello non sorretto da alcun motivo (e che, quindi, sia meramente arbitrario) ovvero sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso, tale da celare l’intento di liberarsi della persona del dirigente. Il che comporta che, atteso il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica imprenditoriale (art. 41 Cost.), il datore di lavoro può scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai livelli dirigenziali.
In via di principio, dunque, la ristrutturazione (riorganizzazione)/soppressione del posto di lavoro, anche per mera riduzione dei costi e senza obbligo alcuno di tenere in considerazione la possibile ricollocazione del dirigente (sul punto, v. Cass. 3175/2013, per cui in caso di licenziamento del dirigente d’azienda per esigenze di ristrutturazione aziendale, è esclusa la possibilità del "repêchage", in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro; Cass. 21748/2010 e, di recente, App. Roma, sezione lavoro, 4073/2018), può essere considerata quale motivo di licenziamento giustificato, sia in relazione alle previsioni di legge (Giustificato Motivo Oggettivo), sia in relazione alle previsioni di contratto collettivo (Giustificatezza).
L’unico limite da tenere in considerazione, attesi gli orientamenti della giurisprudenza, è la rigorosa verifica e valutazione della effettività della riorganizzazione e/o delle ragioni economiche, in relazione a possibili comportamenti maliziosi o pretestuosi dell’azienda. In questo senso, la giurisprudenza più recente, tra cui può richiamarsi Cass. 4 gennaio 2019, n. 87 (per un caso specifico di dichiarata soppressione della posizione lavorativa di direttore amministrativo, nell’imminenza di una crisi aziendale, e redistribuzione delle funzioni in capo all’amministratore delegato, circostanze però non veritiere e, dunque, non emerse in giudizio):
- ha negato la giustificatezza per riorganizzazioni connesse a crisi inesistenti o comunque non dimostrate
- ha censurato sospette movimentazioni del dirigente in posizioni professionali ed organizzative seguite dal licenziamento del manager interessato per soppressione della stessa posizione
- ha dato rilievo ad assunzioni successive di dipendenti/dirigenti per le stesse mansioni.
- ha dato rilievo alla mancata offerta da parte della società di riduzione della retribuzione del dirigente.
- ha negato che un concomitante licenziamento collettivo del personale dipendente fosse idoneo a giustificare, di per sé, anche il licenziamento del dirigente.
Il licenziamento del dirigente, motivato dalla soppressione della mansione conseguente all’unificazione di due filiali, è stato ritenuto assistito da giustificatezza, a prescindere dalla prova dello stato di crisi in cui l’azienda si sarebbe trovata.
In questi termini, analogo giudizio è stato dato con riguardo alla soppressione della mansione di direttore generale, motivata dall’esigenza di riduzione dei costi aziendali. È stato dichiarato legittimo il licenziamento di un dirigente dovuto alla necessità di ridurre le spese di esercizio, in vista di un processo di sostanziale dismissione dell’azienda, essendo, in questo senso, del tutto ragionevole puntare alla diminuzione dei costi anche attraverso il solo licenziamento del dipendente di maggior livello retributivo, soprattutto qualora la stessa funzione di questi all’interno dell’organizzazione produttiva, come nel caso specifico, risulti, per ragioni oggettive, in via di esaurimento.
Volendo schematizzare i termini degli orientamenti più recenti della S.C., che sembrano avallare la configurazione di una attenuazione delle tutele del dirigente, può dunque rilevarsi quanto segue:
- il mantenimento delle mansioni/funzioni già svolte dal dirigente licenziato, ma ad un costo inferiore, è manifestazione di una possibile e legittima scelta imprenditoriale;
- le esigenze di riassetto organizzativo, finalizzato ad una più economica gestione dell’azienda, rendono giustificato il licenziamento;
- solo l’intento - unico e manifesto - di liberarsi della persona del dirigente, può determinare un conseguente giudizio di ingiustificatezza;
- la scelta imprenditoriale può risolversi anche in una riorganizzazione delle risorse umane finalizzata a garantire una gestione non in perdita dell’azienda;
- è sempre richiesta la verifica in giudizio della assoluta e dimostrata veridicità delle motivazioni poste a base del licenziamento.