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Amministratore di società e dirigente: cumulo delle funzioni e conseguenze.

2019-01-17 17:01

Avv. Prof. Pasquale Dui

Amministratore di società e dirigente: cumulo delle funzioni e conseguenze.

Quando l’amministratore di una società collabora all’attività so­ciale, si profilano una serie di problemi di non facile soluzione

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Quando l’amministratore di una società collabora all’attività so­ciale, si profilano una serie di problemi di non facile soluzione che ineriscono alla struttura stessa del duplice rapporto che può così instaurarsi. 
Mentre, infatti, il dirigente presta la sua opera incardinato in uno speciale rapporto di lavoro subordinato, l’amministratore opera in una fattispecie legale di diversa natura, trattandosi di un rapporto di diritto societario che si definisce, da un lato, come di immedesimazione organica nella carica rivestita e, conseguentemente, nella persona giuridica amministrata e, dall’altro lato, di collaborazione autonoma da parte dello stesso soggetto a favore della società.Il problema più ricorrente è quello del soggetto che sia ammini­stratore di una data società ed asserisca, nel contempo, di svol­gere presso la medesima società attività lavorativa di carattere subordi­nato, in genere come dirigente. 
Ovvero, analogamente, quello del lavoratore subordinato che venga a ricoprire cariche amministrative all’interno della stessa. Spesso l’interesse che l’amministratore ha di figu­rare contemporaneamente come lavoratore subordinato coincide con l’opportunità di godere dei trattamenti previdenziali, assistenziali e pensioni­stici che sono connessi per legge con tale qualifica. In realtà occorre tenere in debito conto i potenziali rischi insiti nell’adozione di scelte organizzative ed imprenditoriali del genere in commento, caratterizzate spesso dalla dubbia regolarità o, peggio, legittimità in ordine a questi profili tutt’altro che secondari. Può, infatti, accadere (e così succede, non infrequentemente), che le verifiche in ordine ai rapporti previdenziali instaurati comportino un giudizio di inconfigurabilità, per il rapporto dirigenziale in capo all’amministratore, mettendo in discussione, conseguentemente, una buona parte della vita contributiva del soggetto.
A questo proposito, nell’intento di offrire un quadro ampio ed esaustivo delle possibili sfaccettature in merito alla problematica in esame, l’INPS, già con circolare 179/1989 ha esaminato analiticamente un ventaglio di situazioni, tendenzialmente omnicomprensivo, di fattispecie relative a rapporti di carattere societario, di ogni specie e natura; a rapporti di collaborazione (nei settori commerciali, agricoli, familiari) con l’indicazione dei casi di possibile compatibilità - e, conseguentemente, di incompatibilità del cumulo di cariche e funzioni gestionali/amministrative e subordinate dirigenziali. Sulla scia di quanto ho detto sopra, il giudizio di inconfigurabilità del rapporto dipendente instaurato in casi vietati è la radicale ed assoluta nullità del vincolo giuridico previdenziale, nullità che determina la perdita do ogni diritto e/o pretesa di natura pensionistica e comporta la restituzione dei contributi versati nella supposta situazione di irregolarità, in quanto giuridicamente indebiti.
Considerata la mancanza di precisi riferimenti normativi, la solu­zione delle questioni prospettate è affidata principalmente all’ente previdenziale maggiormente interessato (INPS, che ha provveduto a suo tempo a stilare il suddetto manuale di direttive e istruzioni), nonché, in caso di persistenti contrasti, alla giurisprudenza, la quale deve procedere, caso per caso, all’accertamento della compatibilità delle figure in esame. La questione si risolve, nella maggior parte dei casi, nella veri­fica della sussistenza, nel rapporto di lavoro controverso, delle caratteristiche tipiche della subordinazione, eventualmente attenuata, come nel caso del dirigente.
La regola generale è, dunque, in linea di principio, molto semplice: il rapporto di lavoro subordinato è ritenuto compatibile con la qua­lità di amministratore purché esista effettivamente il vincolo della subordinazione, ovvero, per dirla in altri termini, da una diversa prospettiva, la medesima attività non può essere oggetto, nel contempo, del rapporto di lavoro subordinato e del lavoro di amministrazione, essendo, invece, indispensabile individuare una serie di mansioni riconducibili esclusivamente al contratto di lavoro e non anche allo svolgimento della funzione di amministratore.
Questo vincolo si esprime, in generale, nell’assoggettamento del lavoratore al potere gerarchico, direttivo e disciplinare(Cass. 5944/1991) del titolare dell’impresa e il relativo accertamento va condotto, come ha insegnato la Cassazione a suo tempo, avendo riguardo - innanzitutto - oltre che alla posizione di assoggettamento del lavoratore al potere direttivo dell’imprenditore - all’inserimento del lavoratore medesimo nell’organismo aziendale, secondo lo schema desumibile dagli art. 2086, 2094 e 2104 cod. civ., mentre altri elementi, come l’assenza del rischio, l’oggetto della prestazione ed il sistema di retribuzione, hanno valore solo indicativo (V. già Cass. 3995/1981).
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che la qualità di amministratore di una società di capitali è cumulabile con quella di lavoratore dipendente della medesima società allorquando sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno schermo per coprire un’attività configurabile, in realtà, nei termini di un normale lavoro subordinato (Cass. 381/2000; v. anche Cass. 329/2002).Questo dopo aver affermato, in via più generale, richiamando sempre la propria giurisprudenza, che il rapporto organico che lega il socio o l’amministratore ad una società di capitali non escludela configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato a contenuto dirigenziale tra il primo e la seconda (Cass. 12283/1998). 
A questo proposito, dunque, può enuclearsi il principio per cui, attesa la compatibilità giuridica tra le funzioni di lavoratore dipendente e quelle di amministratore di una società, la sussistenza di un tale rapporto deve essere verificata in concreto, essendo necessario accertare, da una parte, l’esistenza di una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore e, dall’altra parte, il ricorrere dell’elemento tipico, qualificante, della subordinazione (Cass. 894/1998). Specificamente, la compatibilità non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione (Cass. 11119/1993).
Dunque, come visto, il giudice esamina il rapporto in questione e verificase in esso sussistano di fatto tutte le condizioni (o, anche, solo alcune) che provano l’esistenza di un vincolo di subordi­nazione effettivo e tale da consentire l’applicazione delle norme - soprattutto previdenziali - poste a tutela del lavoratore subor­dinato. Le soluzioni della giurisprudenza e i modelli societari. In particolare, la giurisprudenza, sul punto relativo al confronto concreto fra le due attività, ha sottolineato come il relativo giudizio di compatibilità passi attraverso l’accertamento che il soggetto, in qualità di amministratore, non abbia pienezza di poteri, esercitando, eventualmente, solo una funzione vicariale, e che, in qualità di dirigente, sia sempre sottoposto al controllo del consiglio di amministrazione o del diverso organo che assolve a tali funzioni, secondo i diversi moduli e/o sistemi di amministrazione, dualistico e monistico (e/o del presidente e/o del direttore generale), e debba uniformarsi alle direttive aziendali, non determinabili da lui stesso (Cass. 9864/1995).
Allo stesso modo, ad esempio, in presenza di delega con la quale il consiglio di amministrazione della società attribuisce ad un consigliere (ad esempio, al proprio vice presidente) lo svolgimento di tutte le funzioni e le attribuzioni del consiglio che spettano al presidente, deve escludersi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.Ancora meglio, a questo proposito, precisa la S.C. - più di recente, su tali specifiche situazioni - che occorre sempre dimostrare che vi sia un concreto assoggettamento del dirigente alle direttive e al controllo dell’organo collegiale amministrativo, nonché l’effettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti il rapporto organico, in posizione di subordinazione (Cass. 12630/2008). 
Per le società cooperative la Cassazione ha stabilito, a suo tempo (evidentemente in un ambito diverso da quello oggi disciplinato dalle norme sulle cc.dd. cooperative di lavoro [d.p.r. 142/2001]) che la cumulabilità nello stesso soggetto della qualità di socio e di dipendente può rinvenirsi soltanto quando al socio sia affidata un’attività estraneaall’oggetto proprio dell’impresa cooperativistica (Cass. 827/1985). Nelle società di capitali, come accennato, vi sono minori remore rispetto alle società di persone - ad ammettere che un amministratore possa essere contemporaneamente titolare di un rapporto di lavoro subordinato. 
Più precisamente, riassumendo, la giurisprudenza ritiene che il lavoro subordi­nato sia compatibile con la qualità di amministratore, ed esclude il cumulo solo nel caso di amministratoreunicoo, comunque, quando non sia configurabile una volontà della società distinta rispetto a quella dell’amministratore stesso (Cass. 1639/1991).
Proprio per l’amministratore unico, che costituisce il vertice manageriale della società, si ritiene insussistente qualsiasi vincolo di subordinazione nei confronti di un soggetto a lui sovraordinato, anche - e soprattutto - nell’ipotesi in cui un socio possieda la maggioranza assoluta delle quote, sì da poter esercitare un’influenza dominante nella gestione ed amministrazione della società stessa (Cass. 2823/1990). 
Sulla questione generale oggetto di questo scritto, non vi sono dubbi che la posizione più delicata sia quella dell’amministratore delegato. Se non può certo configurarsi l’esistenza di un rap­porto di lavoro subordinato in capo al detto amministratore, che eserciti tutti- o quasi tutti - i poteri di ordinaria e straordi­naria amministrazione, la soluzione opposta può in linea di mas­sima configurarsi per l’amministratore cui sia stata conferita una delega di portata non invasiva, e comunque limitata ai poteri di ordinaria amministrazione oltre a quelli di straordinaria amministrazione inidonei a costituire il presupposto per la formazione di una volontà viziata e/o disturbata da conflitti di sorta. 
In particolare, premessa, in via di principio, la soluzione affermativa, per l’amministratore delegato ed il presidente del consiglio di amministrazione, è presupposto indefettibile della locatio operarum la rigorosa prova che il presidente-amministratore sia effettivamente sottoposto alla vigilanza, al controllo e alla verifica da parte di altri organi all’interno della società.
Diversamente, sul caso dell’amministratore unico, la giurisprudenza è compatta nello statuire che, in tale fattispecie, deve escludersi il cumulo, essendo questo ammesso, come visto, in caso di collegialità dell’organo amministrativo, quando l’amministratore svolge attività diversa da quella propria della carica sociale rivestita, assoggettandosi al potere direttivo esercitato da altri componenti del consiglio (Cass. 7562/1993). Da ultimo, voglio sottolineare anche un aspetto dei possibili riflessi delle situazioni di cumulo di carica amministrativa e funzioni dirigenziali sotto il profilo tributario. 
La questione muove dal valutare la deducibilità dei costi sostenuti per il rapporto di lavoro subordinato che, per avventura, dovesse essere contestato in ragione della materiale assenza del vincolo della subordinazione. Invero, il danno economico per l’azienda potrebbe rivelarsi molto significativo in caso di accertamento di inesistenza del rapporto di lavoro, considerando che la conseguenza più naturale e logica sarebbe la ripresa dei costi del rapporto subordinato in termini di assoggettamento a tassazione, per carenza del requisito di inerenza.

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